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IL PROCESSO ESTRATTIVO. DALLA VOLATA AL FORNO

MUSEO - SALA 2

IL PROCESSO ESTRATTIVO. DALLA VOLATA AL FORNO

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Storicamente, nelle miniere amiatine l'attrezzo di scavo più impiegato è stato il piccone, ma con l'arrivo dell'energia elettrica, fece il suo ingresso in miniera l'aria compressa, che consentiva l'impiego di martelli perforatori sempre più potenti.

Uno degli aspetti più caratteristici del lavoro in miniera era sicuramente l’uso degli esplosivi, necessario a procedere negli avanzamenti. La disposizione dei fori da mina, detta volata, variava in relazione al tipo di roccia. Una volta che le mine erano fatte esplodere, si procedeva allo sgombero del materiale, caricandolo su carrelli chiamati beccacce. Il materiale veniva poi scaricato nelle botole e trasportato in gallerie, per giungere infine in superficie.

Il mercurio metallico si ottiene dal riscaldamento del cinabro, che porta alla sua separazione dallo zolfo. Il processo metallurgico ottimale per far sì che le perdite di metallo siano ridotte al minimo fu messo a punto solo nel Novecento, mentre prima le perdite di mercurio erano rilevanti.

Si hanno poche notizie sui forni impiegati anticamente. Vanoccio Biringuccio e Agricola, descrivono, alla metà del Cinquecento, i sistemi allora impiegati, dei quali probabilmente qualcuno venne adottato anche nell'Amiata. L'estrazione del mercurio dal suo solfuro veniva compiuta all'aria aperta: i frammenti di cinabro erano introdotti in vasi chiusi con muschio, che venivano capovolti e incastrati su altri vasi, per poi essere interrati in prossimità del fuoco.
Il calore provocava una reazione chimica che produceva mercurio puro allo stato gassoso, e il raffreddamento successivo causava la caduta del mercurio dal vaso superiore a quello inferiore; qui, filtrato dal muschio, passava infine allo stato liquido.

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